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Documenti pubblici, digitali.

10.4. Problematiche da indirizzare

10.4.1. Scarse competenze digitali

L’Italia occupa il terzultimo posto in UE quanto a digitalizzazione (DESI 2020), con un punteggio pari a 43,6 rispetto alla media UE che si attesta al 52,6. Ciò che però preoccupa maggiormente è il grave ritardo evidenziato dall’indicatore “Capitale umano”, secondo il quale i livelli di competenze digitali di base e avanzate risultano molto bassi (32,5) rispetto alla media UE (49,3), relegando il nostro Paese all’ultimo posto.

L’Istat (2019) ha rilevato che in Italia, già all’interno di ogni nucleo familiare risulta esserci un forte divario digitale da ricondurre soprattutto a fattori generazionali e culturali, a dispetto del crescente numero di dispositivi elettronici venduti per navigare in internet.

Infatti le indagini statistiche hanno messo in rilievo che il 42% dei soggetti di età compresa tra i 16 e i 74 anni è in possesso di competenze digitali di base (a fronte del 58% in UE), il 22% di competenze digitali superiori (a fronte del 33% in UE), mentre il 3,4% (pari a 1 milione e 135 mila soggetti) ne è completamente sprovvisto.
La situazione è addirittura peggiore se si passa ad esaminare il numero di laureati e specialisti nel settore delle Information and Communication Technologies (ICT). Infatti, solo l’1% dei giovani italiani è in possesso di una laurea in discipline ICT (il dato più basso tra gli Stati Membri UE), e la percentuale degli specialisti è ancora al di sotto della media UE (3,9%).
Secondo l’Ocse, nel rapporto “Skills Outlook 2019 - Thriving in a digital world” l’Italia è inserita nel gruppo dei Paesi con il ritardo digitale più consistente, e quindi impreparato ad affrontare le sfide della digitalizzazione. I parametri presi in considerazione sono: le competenze tecniche, le competenze necessarie per adeguarsi ai modelli digitali, la scarsa formazione dei lavoratori e l’incapacità di sfruttare le potenzialità di Internet.

La scuola è uno dei settori più colpiti da tali deficit: oltre la metà degli studenti non sembra sappia utilizzare i dispositivi elettronici in modo efficace, almeno per scopi didattici. Tre quarti degli insegnanti, inoltre, manca di competenze digitali (contro una media Ocse del 58%) e pertanto necessita di un’adeguata formazione ICT.

10.4.2. Scolarizzazione della forza lavoro (e % STEM)

Secondo il rapporto Istat (2019) sui livelli di Istruzione e occupazionali, l’Italia risulta all’ultimo posto rispetto agli altri Stati dell’Unione Europea.

Infatti, il 62,2% degli individui tra i 25 e i 64 anni è in possesso di un titolo di studio secondario superiore, a fronte della media UE del 78,7%, mentre il 19,6% ha un titolo di studio terziario, rispetto al 33,2% della media UE e il 24,6% sono i laureati tra i 25 e i 34 anni nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche (Scienze, Tecnologia, Ingegnerie e Matematica - STEM).

Seppure quest’ultima percentuale sia molto bassa, l’Italia comunque occupa una posizione che si avvicina alla media dei 22 Paesi UE membri dell’Ocse, pari al 25,45%. Il divario con paesi omologhi non risulta particolarmente accentuato se si considera che la Germania occupa il primo posto con il 32,2% e seguono la Spagna con il 27,5%, la Francia con il 26,8% e il Regno Unito con il 23,2%.

10.4.3. Competenze e alfabetizzazione relative ai dati in UE e in Italia

Il settore dei Big data e quello dell’analisi dei dati risultano tra i più carenti di figure professionali dotate di competenze fondamentali. Nel 2017, nell’UE a 27, i posti complessivamente vacanti in tali ambiti specialistici erano circa 496.000.

Attraverso un sondaggio effettuato su 9.000 dipendenti di società con oltre 50 dipendenti di UK, USA, Germania, Francia, Singapore, Svezia, Giappone, Australia e India nel settembre 2019, Qlik e Accenture hanno identificato come il divario di alfabetizzazione relativo ai dati stia influenzando la capacità delle aziende di prosperare in un’economia basata sui dati. In primo luogo, nonostante quasi tutti i dipendenti (87%) riconoscano i dati come una risorsa, pochi li utilizzano nell’ambito del processo decisionale. Solamente il 25% dei dipendenti intervistati ritiene di essere pienamente preparato a utilizzarli in modo efficace e si scende al 21% per coloro che dichiarano di avere fiducia nelle proprie competenze in materia di data literacy, ovvero nella capacità di analizzarli e interpretarli.

In base alle rilevazioni dell’Osservatorio delle competenze digitali, che monitora la domanda del lavoro delle professioni ICT in Italia, nel 2019 le figure più ricercate sono state:

  • il Data Scientist nel settore economico, per la categoria Business;

  • il Data Specialist, in egual misura sia nel settore dell’ICT (24,4%) che nei servizi professionali e consulenziali (24,9%), per la categoria Design.

Inoltre, si registra un livello generale di alfabetizzazione ai dati della forza lavoro e della popolazione piuttosto basso, soprattutto tra le persone anziane.

10.4.4. Trasformazione dei processi e dei procedimenti in ottica data-driven

L’interoperabilità tra le banche dati pubbliche comporterà una profonda revisione dei processi e dei procedimenti amministrativi che sono ancora largamente basati su logiche così dette a silos (ogni PA acquisisce e gestisce autonomamente tutti i dati e i documenti necessari a soddisfare le istanze di cittadini e imprese).

Spostare il focus verso l’accesso e l’utilizzo di ciò che è già disponibile - ovvero rendere operativo il principio once only - comporta un grande impegno in termini organizzativi, regolamentari e culturali.

10.4.5. Consapevolezza del ciclo di vita dei dati

Il ciclo di vita dei dati, ovvero la loro generazione, gestione, elaborazione, diffusione, protezione, e eventuale distruzione deve essere parte di ogni passo di progettazione e realizzazione dei processi. Solo in questo modo si potranno garantire dati di qualità e sufficienti per la realizzazione di servizi efficienti e monitorabili.